mercoledì 30 aprile 2014

Una guida super rapida per riprendere i pianeti

Lo scorso Luglio, allo star party di Lajatico, ho sostenuto una conferenza su come riprendere nel migliore dei modi i corpi del Sistema Solare in alta risoluzione con telescopi amatoriali, riassumendo all'estremo i concetti principali del mio libro "Tecniche, trucchi e segreti dell'imaging planetario".

http://www.danielegasparri.com/tecniche_trucchi_segreti_imaging_presentazione_gasparri.pdf

Dopo aver rovistato in un vecchio hard disk e aver ritrovato la presentazione, l'ho leggermente arricchita di informazioni e la rendo disponibile a chiunque voglia una guida rapida con i punti salienti per riprendere i pianeti e per chi magari ha bisogno di una rinfrescata.
Il download può essere fatto cliccando qui

Se volete approfondire c'è sempre il mio libro, disponibile in formato PDF, Kindle e cartaceo.

martedì 29 aprile 2014

Pianeti extrasolari: L'indice di abitabilità planetaria

Terminiamo l'analisi dell'abitabilità di un pianeta extrasolare introducendo l'importante concetto di Indice di abitabilità planetaria.
Questo post è estratto dal mio libro: "Vita nell'Universo: eccezione o regola?"

Un’altra sigla inglese, questa volta identificata come PHI (Planetary Habitable Index, indice di abitabilità planetaria), cerca in qualche modo di approfondire la possibilità che un pianeta ha di ospitare forme di vita, quindi di mettere a disposizione di un qualsiasi ecosistema tutta una serie di richieste in modo da garantirne la sostenibilità su un lungo periodo temporale.

L'indice di abitabilità applicato a corpi celesti conosciuti
L’indice PHI non è quindi costruito a immagine e somiglianza della Terra (come l’ESI), ma sulle (presunte) esigenze di qualsiasi forma di vita, anche esotica.
L’indice di abitabilità planetaria prende quindi in considerazione aspetti molto più generici:
  • La presenza di un qualsiasi liquido in superficie o nel sottosuolo con la funzione di aggregatore di materiale biologico;
  • La composizione chimica della superficie, in particolare l’esistenza di molecole organiche, ma anche di azoto, fosforo e zolfo, componenti delle molecole biologiche;
  • La disponibilità di risorse energetiche: luce solare, calore residuo all’interno del pianeta, forze mareali dovute alla stella, a un altro pianeta o un satellite, e presenza di elementi chimici in grado di reagire chimicamente e produrre energia;
  • Infine le richieste superficiali: un’atmosfera, una crosta solida e un campo magnetico in grado di proteggere le forme di vita.
Come possiamo vedere non si fanno ipotesi, ad esempio, su quale sia il liquido superficiale o quale debba essere la composizione atmosferica o la distanza dalla stella; chiediamo solamente lo stretto necessario affinché molecole organiche possano avere una superficie su cui poggiare, un liquido per prosperare, energia per i processi e una protezione dalle insidie dello spazio aperto e della propria stella, lasciando aperte le possibilità che si sviluppino nei modi più disparati possibili.

È ancora una definizione parziale, perché magari ci sono altre caratteristiche che possono favorire lo sviluppo della vita (ad esempio, potrebbe non essere necessaria una superficie solida), ma siamo sicuramente più avanti dell’indice ESI visto nel post precedente.

Secondo questa nuova classificazione, Titano diventerebbe un luogo migliore di Marte, il primo candidato nel Sistema Solare a ospitare forme di vita oltre alla Terra (che non avrebbe neanche il punteggio pieno perché carente dell’energia derivante da forti interazioni mareali). La nostra Luna, d’altra parte, scivola all’ultimo posto perché non soddisfa pienamente neanche una categoria. Non ci sono liquidi, non ci sono tutte le fonti energetiche richieste, non ci sono le condizioni superficiali (solo la presenza di rocce), e neanche tutti gli elementi chimici per sostenere delle forme di vita. 
Sotto questo punto di vista si apre, anche nel Sistema Solare, la possibilità che forme di vita abbiamo attecchito anche laddove nessuno scienziato pensava fino a pochi anni fa.

venerdì 25 aprile 2014

Pianeti extrasolari: L'indice di similarità terrestre


Continuiamo a parlare delle caratteristiche dei pianeti extrasolari introducendo il concetto di Indice di similarità terrestre.
Questo post è estratto dal mio libro: "Vita nell'Universo: eccezione o regola?"


Poiché l’appartenenza o meno di un pianeta alla zona di abitabilità non implica che il pianeta possa avere le condizioni per la vita come la conosciamo, gli astronomi hanno definito un parametro, denominato ESI, acronimo di indice di similarità terrestre (Earth Similarity Index), che considera anche le altre variabili citate.

I pianeti più simili alla Terra ordinati secondo l'indice ESI
L’indice di similarità terrestre prende come riferimento il nostro pianeta, al quale viene assegnato il valore arbitrario di 1 e analizzando la massa, il raggio, la densità, la posizione nella zona abitabile, quindi la temperatura, ci dice quanto quel corpo celeste potrebbe assomigliare potenzialmente alla Terra.
La formula per calcolare il parametro si può applicare a qualsiasi oggetto, anche asteroidi e satelliti, ma a noi la sua espressione non interessa (e se dovesse interessare si trova qui).

Affinché un corpo celeste abbia una buona probabilità di essere abitato è necessario un indice pari o superiore a 0,80.
Corpi celesti con valori compresi tra 0,70 e 0,80 potrebbero essere popolati solamente da organismi semplici, probabilmente l’analogo dei nostri estremofili, mentre al di sotto non si dovrebbero trovare condizioni adatte allo sviluppo di vita in superficie, almeno su tempi scala lunghi. Ciò non toglie che altre forme biologiche potrebbero essere possibili, come gli organismi metanogeni su Titano o nelle profondità degli oceani di Europa. 

Titano infatti ha un indice di similarità pari a 0,24, il che significa semplicemente che massa, dimensioni e temperatura superficiale sono estremamente diverse dalla Terra. Europa ha un valore pari a 0,26. In effetti, nessun organismo terrestre potrebbe (forse) prosperare in questi ambienti.
La Luna ha un indice pari a 0,56, più alto dei precedenti perché si trova nella fascia di abitabilità, ma ancora lontano da una condizione propizia alla vita a causa della totale mancanza di un’atmosfera stabile, diretta conseguenza della piccola massa.

Il pianeta più simile alla Terra nel Sistema Solare è naturalmente Marte, il cui indice è attualmente pari a 0,64. I valori possono oscillare a causa dei parametri utilizzati e del “peso” che gli attribuiamo; ad esempio per Marte qualcuno propone un indice ESI pari a 0,70, al limite della sopravvivenza di qualche organismo terrestre semplice.

L'indice ESI per alcuni extrasolari, la Terra e Marte
Questo indice, anche se utile perché ci può dire quali potrebbero essere i pianeti più simili alla Terra, in realtà non ci racconta la storia completa, perché la vita può svilupparsi in modi diversi o richiedere variabili molto più complesse.
Negli anni recenti, allora, è stato definito un altro parametro che cerca di approfondire il discorso e prova a capire quali siano effettivamente i pianeti potenzialmente abitabili, tenendo sempre ben in mente che ancora non li vediamo direttamente.
Lo vedremo nel prossimo post.

martedì 22 aprile 2014

La fascia di abitabilità


A seguito della notizia della scoperta del primo pianeta terrestre nella zona di abitabilità della propria stella, quindi potenzialmente in grado di ospitare acqua liquida e, forse, forme di vita, approfondiamo qualche concetto importante che ci farà comprendere meglio quali sono le caratteristiche richieste a un pianeta extrasolare per considerarsi abitabile o simile alla Terra.
In questo post, tratto dal mio libro: "Vita nell'Universo: eccezione o regola?", affrontiamo l'argomento più importante: la fascia di abitabilità. 
Nei prossimi post vedremo altre caratteristiche utili per capire quanto un pianeta potrebbe essere simile alla Terra, considerando sempre il fatto che questi corpi celesti, attualmente, non riusciamo a osservarli direttamente.

La fascia, o zona di abitabilità cerca di identificare una banda orbitale attorno a una stella entro la quale un pianeta potrebbe sperimentare le giuste condizioni per l’esistenza di acqua liquida in superficie.
Il concetto, in apparenza semplice, è complicato da una serie di variabili secondarie che non possiamo ignorare.
Un esempio molto concreto ce l’abbiamo proprio nel nostro Sistema Solare. La Terra si trova sicuramente nella fascia di abitabilità e in effetti contiene grandi riserve di acqua liquida, ma per la Luna, anch’essa compresa, è tutta un’altra storia.

Fasce di abitabilità attorno a diversi tipi di stelle
Il concetto di fascia di abitabilità deve essere quindi preso come una possibilità teorica, un potenziale che sta poi al corpo celeste decidere di sfruttare o meno. E questo dipende prima di tutto dalla massa, perché le temperature gradevoli sono diretta conseguenza di un’atmosfera stabile nel tempo e sufficientemente spessa, possibile solamente se il corpo celeste genera abbastanza forza di gravità da trattenerla. Marte, ad esempio, secondo alcune definizioni si troverebbe nel bordo esterno della fascia di abitabilità del nostro sistema planetario, eppure neanche lui possiede, nel presente, acqua liquida.
L’atmosfera, quindi, deve essere della giusta densità, non troppo spessa e neanche troppo sottile.

Altro fattore importante è chiamato dagli astronomi effetto albedo: la copertura nuvolosa può cambiare radicalmente le temperature al suolo e determinare il congelamento dell’acqua nel caso in cui l’effetto serra fosse limitato e la luce solare bloccata, oppure farla evaporare qualora le nubi non siano sufficientemente dense da bloccare un calore stellare troppo intenso.
Inserire nel calderone tutte queste variabili che dipendono anche dalla storia evolutiva del corpo celeste (che non conosceremo mai) è molto difficile.
Il termine fascia di abitabilità è stato definito per la prima volta nel 1993, ma a seguito di migliori studi che hanno preso in considerazione diversi modelli atmosferici e le proprietà delle stelle, all’inizio del 2013 un approfondito studio ha leggermente cambiato i valori.
 
La Terra si trova proprio sul bordo della fascia di abitabilità
Il lavoro di un nutrito gruppo di ricerca internazionale ha infatti sviluppato il concetto più preciso di zona abitabile che abbiamo a disposizione e dato importanti punti di riferimento per tutti coloro impegnati nella caccia ai pianeti gemelli della Terra.
Per i calcoli sono stati considerati pianeti senza nubi, meglio, senza una copertura nuvolosa significativa rispetto all’estensione della superficie e atmosfere di diversa densità e composizione.

Il bordo interno della fascia di abitabilità è determinato da un pianeta la cui atmosfera non genera un efficiente effetto serra, mentre il limite più esterno da un corpo celeste con un’atmosfera composta prevalentemente di anidride carbonica che produce il forte effetto serra necessario per controbilanciare la scarsa quantità di calore che riceverebbe dalla stella (fino a 1/4 di quello che riceve ora la Terra). 

Il risultato di questi nuovi modelli, applicato al nostro Sistema Solare, ha permesso di scoprire qualcosa di inaspettato: la Terra si troverebbe attualmente al confine con il bordo interno e non più nel mezzo come ci si aspettava. I margini esterni della fascia si estendono fino all’orbita di Marte, che essendo molto ellittica non è però inclusa del tutto. 

La posizione attuale della Terra ci suggerisce uno scenario che in un prossimo futuro potrebbe cambiare, anche se molto lentamente. 
Il Sole, come tutte le altre stelle, nel corso della vita non mantiene una luminosità costante, sebbene si trovi nella sequenza principale, quindi in una fase relativamente stabile.
Quattro miliardi di anni fa la nostra Stella era il 30% meno brillante di oggi; questo significa che la zona abitabile era sicuramente più vicina e la Terra si trovava quasi nel mezzo. Tra 4,5 miliardi di anni il Sole sarà quasi il 50% più luminoso di ora, con una conseguenza inevitabile: la fascia di abitabilità si muoverà lentamente nel tempo, scivolando verso regioni più esterne mano a mano che l’età avanzerà.

La Terra tra circa un miliardo di anni potrebbe esserne già uscita, con il risultato che l’acqua sulla superficie comincerà inevitabilmente a evaporare e perdersi nello spazio, rompendo definitivamente un equilibrio durato miliardi di anni.
In qualche centinaio di milioni di anni del nostro bellissimo pianeta azzurro non resterà forse più traccia, desertificato come l’attuale Marte, che invece potrebbe sperimentare un’inaspettata rinascita grazie all’ingresso nella fascia di abitabilità, sebbene con un’atmosfera forse un po’ troppo sottile per prendere il posto che un tempo era della Terra.
Quello che poi succederà dopo, quando il Sole entrerà nella fase di gigante rossa, è ancora più tragico per il nostro pianeta ma non per altri fortunati corpi celesti, tra cui Titano, satellite di Saturno.

venerdì 18 aprile 2014

Kepler-186f: un (quasi) gemello della Terra

Da tempo si ipotizzava.
Da tempo tutti sapevano ma nessuno poteva formulare una frase senza condizionali o avverbi dubitativi. Bene, ora il concetto può essere riformulato in modo molto più diretto:
Nell'Universo esistono pianeti quasi identici alla Terra e potenzialmente in grado di ospitare un clima, quindi una biosfera, del tutto simili al nostro pianeta.
Come facciamo a saperlo?
Kepler-186f è il più simile alla Terra per massa e dimensioni
Perché, grazie ai dati ottenuti dal 2009 al 2013 dal telescopio spaziale Kepler, specializzato nello scovare pianeti extrasolari di taglia terrestre, è stato trovato il primo pianeta di dimensioni terrestri nel mezzo della fascia di abitabilità. Si chiama Kepler-186f e dista 500 anni luce. Nessuno lo ha visto direttamente, ma il pianeta esiste, eccome.

Bene, forse per apprezzare meglio queste poche righe dobbiamo fare un po' di chiarezza e procedere con ordine:

1) I pianeti extrasolari, ma questo forse lo sappiamo, sono troppo deboli e vicini alle proprie stelle per essere osservati direttamente, tranne in casi eccezionali che neanche ci interessano, perché si tratta di corpi simili a Giove e molto più caldi.
Ci sono però diversi modi per rilevare l'impronta di un pianeta e quasi tutti sfruttano la luce della stella attorno alla quale orbitano. Uno dei più promettenti è quello che prevede di catturare, se si verifica, il momento in cui la sagoma oscura del corpo celeste attraversa il disco della propria stella, provocando una microscopica diminuzione della sua luminosità: un evento chiamato transito.

2) Dopo anni in cui gli astronomi hanno scoperto centinaia di pianeti che nessuno immaginava nemmeno esistessero, come l'affollata categoria degli Hot Jupiter, finalmente la tecnologia, soprattutto con l'arrivo del telescopio spaziale Kepler, è stata in grado di rilevare corpi celesti più simili alla Terra quanto a dimensioni e masse.
Questo è un punto fondamentale, perché dopo aver provato che i pianeti sono comuni a molte stelle, la normale evoluzione della ricerca ci ha portato a capire se potessero esistere corpi simili alla Terra, quindi in grado di ospitare, potenzialmente, le condizioni adatte alla vita come la conosciamo.
Abbiamo capito che due condizioni necessarie per avere un corpo celeste somigliante alla Terra riguardano la massa e le dimensioni. Sappiamo che pianeti superiori già a poche volte la massa del nostro potrebbero non avere una superficie solida, trasformandosi in giganti gassosi simili a Urano e Nettuno. D'altra parte, corpi celesti troppo piccoli, come Marte o la Luna, hanno troppa poca massa per ospitare un'atmosfera spessa, anch'essa necessaria per qualsiasi processo biologico.
C'è poi un concetto fondamentale che completa, almeno in prima approssimazione, il quadro:

3) La zona di abitabilità. Un pianeta grande come la Terra, con una massa simile, quindi con la capacità di trattenere una spessa atmosfera, non garantisce affatto condizioni propizie per la vita e questo lo sappiamo da almeno 50 anni, quando le prime sonde atterrarono su Venere e scoprirono che poche decine di milioni di chilometri di distanza dal Sole avevano trasformato il nostro gemello quasi perfetto nella nemesi ideale, inadatto a qualsiasi forma di vita.

Quindi, tirando le conclusioni, e poiché noi conosciamo per ora solo la Terra come esempio di corpo celeste in cui è nata la vita, è da più di vent'anni che cerchiamo pianeti fuori dal nostro sistema solare simili quanto a massa e dimensioni e che si trovano alla giusta distanza dalla propria stella, in quella stretta zona orbitale in cui le condizioni potrebbero permettere all'acqua di restare liquida in superficie e alla vita di fiorire.

I più probabili pianeti abitabili fino a poche settimane fa
Fino a pochi giorni fa ne conoscevamo 20 di pianeti potenzialmente abitabili, alcuni, come Gliese 581g, molto simili alla Terra ma con un piccolo problema: non si sa ancora se esistono davvero o si tratta di errori strumentali.
Tutti gli altri, tra cui il più conosciuto è forse Kepler- 22b, sono certamente reali, ma hanno un piccolo problema: sono tutti più massicci del nostro pianeta, tra le 2 e le 20 volte e almeno il 40% più grandi.
In pratica, abbiamo osservato nella zona di abitabilità, fino a pochi giorni fa, solamente una classe di pianeti detti superterre: corpi celesti che nessuno ancora sa come sono fatti. Si pensa che i meno massicci potrebbero ospitare una superficie solida, magari inviluppata in una spessa atmosfera (più di quella terrestre, e questo potrebbe essere già un problema), mentre quelli oltre le 7-10 volte la massa del nostro pianeta è probabile siano molto più simili a corpi gassosi, sui quali è quindi impossibile trovare la vita come la conosciamo.
Insomma, benché avevamo cercato in lungo e in largo, fino a poco tempo fa mancava sempre un tassello al pianeta (quasi) perfetto.

Kepler186-f: il primo simile alla Terra nella fascia di abitabilità
Poi è arrivato l'annuncio della NASA del 17 aprile (2014) che ha permesso di fare un notevole balzo in avanti verso l'identificazione del nostro pianeta gemello.

Kepler-186f orbita attorno a una stella di classe M, una nana rossa molto comune nell'Universo (circa il 70% della popolazione stellare) più debole del Sole. E' vecchio forse più di 4 miliardi di anni ed è il più esterno di un sistema contenente altri 4 corpi celesti. Ha un diametro solamente il 10% superiore a quello del nostro pianeta, quindi si tratta, con ogni probabilità, di un corpo roccioso, senza i dubbi degli altri suoi "colleghi" scoperti fino ad ora.
A una distanza di circa 54 milioni di chilometri dalla propria stella, impiega 130 giorni per compiere una rivoluzione completa. Benché sia più vicino di Mercurio, l'astro attorno al quale orbita è molto più debole del Sole e Kepler-186f si trova quindi nei pressi del bordo esterno della sua zona di abitabilità.

E su questa frase, purtroppo, arrivano i primi dubbi in merito alle possibili condizioni superficiali. Anche Marte infatti si trova più o meno nella stessa posizione della fascia di abitabilità attorno al Sole ed è un pianeta sostanzialmente morto. Sarà così anche per Kepler-186f?
In termini un po' più tecnici, possiamo confrontare la quantità di radiazione stellare che giunge sui pianeti rispetto a quella terrestre e provare a tirare qualche conclusione, ben consapevoli che la nostra conoscenza è comunque limitata al nostro sistema solare.
Bene, Marte riceve il 43% del flusso che giunge sulla Terra e questo basta per trasformarlo in un deserto molto freddo. Su Kepler-186f giunge appena il 32% della radiazione stellare che sulla Terra ha messo in moto un meccanismo perfetto per l'esistenza di acqua liquida e il sostentamento di forme di vita.
Sono questo scenario, quindi, Kepler-186f potrebbe somigliare più a Marte che alla Terra.
L'unica possibilità per il pianeta di avere condizioni adeguate all'esistenza di acqua liquida in superficie è la presenza di una spessa atmosfera, molto più di quella terrestre, in grado di aumentare la temperatura di decine di gradi in conseguenza di un forte effetto serra. Un'ipotesi che grazie alla massa molto più somigliante a quella terrestre che a quella marziana, non sembra così remota, ma neanche scontata.
E' a causa di questo piccolo dettaglio che, nonostante il grande entusiasmo per il primo vero pianeta di taglia terrestre scoperto senza dubbi nella zona di abitabilità, gli astronomi sono molto cauti nel dire di aver scoperto il nostro gemello perfetto.
In effetti, se consideriamo come termine di paragone con la Terra non più le caratteristiche fisiche ma la posizione nella fascia di abitabilità, e stiliamo una classifica dei pianeti potenzialmente abitabili conosciuti, Kepler-186f si colloca solo al 17 esimo posto sui 21 attualmente disponibili.
Non abbiamo idea alcuna di quali siano le reali condizioni del pianeta, ma se fosse identico alla Terra, anche per quanto riguarda la composizione e lo spessore dell'atmosfera, quello che otterremo, con buona probabilità, sarà un mondo completamente ricoperto di ghiacci, con una temperatura media di qualche decina di gradi sotto lo zero.

Il catalogo aggiornato dei pianeti potenzialmente abitabili
La realtà è che, a parte la distanza dalla propria stella e le dimensioni, non sappiamo assolutamente niente delle reali proprietà di Kepler-186f e di tutti gli altri pianeti potenzialmente abitabili, quindi tutto quello che leggiamo e sentiamo in giro in merito alle effettive possibilità di acqua liquida e addirittura vita devono essere prese con le dovute precauzioni. L'entusiasmo è spesso il motore della scienza, ma guai a perdere lucidità.
Quello che per ora sappiamo è che Kepler-186f, così come altri pianeti nella fascia di abitabilità, come Kepler-62e, ad ora tra i corpi celesti meglio posizionati quanto a similarità con la Terra (considerando anche la quantità di radiazione ricevuta dalla propria stella e non solo le dimensioni), sono mondi sconosciuti che potrebbero ospitare le condizioni giuste per la presenza di acqua liquida e la conseguente evoluzione della vita. E' tuttavia un potenziale, una condizione necessaria ma non sufficiente che dovrà essere confermata o smentita con studi atmosferici che al momento non riusciamo ancora a condurre.
L'unica cosa che possiamo dire è che su Kepler-186f sono state puntate anche le antenne del SETI, con la remota speranza di ascoltare qualche trasmissione radio proveniente da eventuali specie evolute, ma tutto quello che si è sentito è stato solo silenzio.


Anche in questo caso, quindi, sembra ancora mancare un piccolo tassello prima di gridare a gran voce al nostro gemello perfetto ma è evidente, ora più di prima, che si tratta ancora una volta di una mera questione di tempo, perché ora ne abbiamo la certezza: pianeti di dimensioni terrestri sono molto comuni nell'Universo e possono esistere, senza problemi, nella zona di abitabilità delle proprie stelle. 
Probabilmente qualcuno potrebbe pensare alla scoperta dell'acqua calda, ma per una specie abituata per cultura, religione e probabilmente istinto a considerarsi unica, speciale e al centro dell'Universo, è un enorme aiuto avere delle solide prove per compiere un salto culturale senza precedenti: prendere coscienza di abitare su un pianeta estremamente comune, in una zona qualsiasi dell'Universo, attorno a una stella normalissima. La Terra allora potrebbe essere un pianeta qualsiasi su 15 e più miliardi che potrebbero popolare solamente la nostra Galassia.

Per approfondimenti:
Il mio libro sulla presenza della vita nell'Universo, che analizza in modo più approfondito i pianeti extrasolari abitabili scoperti fino ad ora e i vari progetti SETI (disponibile in formato ebook e cartaceo)

La notizia della scoperta di Kepler-186f sul sito del Planetary Habitability Laboratory:
http://phl.upr.edu/press-releases/firstpotentiallyhabitableterranworld

La notizia su Universe today:
http://www.universetoday.com/111319/kepler-has-found-the-first-earth-sized-exoplanet-in-a-habitable-zone/

giovedì 3 aprile 2014

L'aurora si muove nel cielo

Durante il mio soggiorno nel parco nazionale di Abisko, Svezia, alla caccia di aurore, ho avuto la possibilità di riprendere qualche filmato time-lapse che mostra la variazione di forme, colori e intensità nel corso del tempo. Non ci sono molte parole per descrivere lo spettacolo a cui ho assistito; spero che questo video riesca a rendere una minima idea a voi lettori.

Un grazie particolare ad AstrOttica: www.astrottica.it per avermi messo a disposizione una videocamera ASI120MC dotata di obiettivo fisheye con cui ho potuto riprendere le immagini del video.